Citazione...

E così accade che legga mille e mille libri,
sulla stupida arte di essere felici...

giovedì 4 novembre 2010

Pazzamente Pazza di un Matto

Io la pubblico. Il testo mi piace, lo stile pure, e merita. E alla fine, mi piace. Tu non l'avresti mai pubblicata.
Io sì.
E complimenti, mi piace. :)



Mi sento una stalker.
Non potete immaginarvi la mia mortificazione e imbarazzo per quello che sto facendo. Prima che vi immaginiate una pazzoide con cappotto, parrucca e occhiali da sole nascosta dietro a un giornale tenuto al contrario, voglio innanzitutto precisare che non mi riferivo a quel genere di stalker, perché, anche se un po’ compromessa, un minimo di dignità mi è rimasto.
Allora perché mi definisco una stalker? Per il semplice motivo che dopo aver passato un’estate intera e pensare a lui, ed illudendomi di averlo dimenticato in seguito a una brevissima cotta, mi sono ritrovata a un punto dove la sua mancanza era così forte che avevo pianificato più volte di andare da lui e fargli una visita a sorpresa. Sentivo il forte desiderio di incontrarlo, di abbracciarlo, di dirgli che mi mancava da impazzire, che lo rivolevo nella mia vita, che lo…
…ma chi volevo prendere in giro? Io, timida com’ero, sarei davvero stata in grado di correre da un ragazzo che con molte probabilità mi avrebbe mandata a quel paese se mi avesse vista? Non era da me fare una simile pazzia, non sono mai stata quel genere di ragazza. Se qualcosa è irraggiungibile non mi sforzo di lottare per averla. Mi arrendo. Soffrirò per la mancata opportunità, ma mi ripeterò che la vita continua. Doveva continuare, anche senza di lui.
E il solo pensiero mi uccideva.
Quand’è stata l’ultima volta che mi ero sentita così male per un ragazzo? Spesso me lo chiedevo, a volte con un po’ di ironia, ma il senso di amarezza restava.
Passerà, passerà…
E intanto mi chiedevo, per semplice diletto masochistico, cosa faceva. Sapevo che in estate avrebbe lavorato come animatore, ed ero conscia di che pasta era fatta la maggior parte degli animatori. Ne ho conosciuti anch’io, e quindi sapevo come passavano il loro tempo libero. Ma parte di me si rifiutava di immaginarlo come quel tipo di ragazzo che cambiava le ragazze come le mutande. Eppure sapevo che sperare in una cosa del genere era come aspettarsi che un leone preferisse brucare l’erba piuttosto che sbranare una gazzella. In fondo era un ragazzo, che pretendevo? Tuttavia non riuscivo a dirmi “È un ragazzo come tanti altri”. Lo era, ma al tempo stesso non lo era. Non potevo accettarlo.
Siccome immaginarlo con più ragazze mi recava piacere quanto un pugno nello stomaco, ho ‘preferito’ pensarlo felicemente innamorato di una ragazza per cui avrebbe fatto i salti mortali per renderla felice come non lo fosse mai stata. Così lo vedevo, e questa immagine mi piaceva più dell’altra… se solo non fosse per il fatto che stava con un’altra. Non che io non volessi la sua felicità, solo che… ecco, speravo di poter essere io colei che lo avrebbe fatto sorridere, che potesse sempre essergli vicino, e…perché no, lo facesse tribolare un po’ con tutte quelle insicurezze tipiche di noi ragazze…
Ma stava con una ragazza? Lo rendeva felice? Lei si rendeva conto di quanto fosse fortunata ad avere un ragazzo come lui?
…Si ricordava ancora di me, di quella scema che gli ha detto di no non una, ma due volte?
Potevo porgli tutte queste domande, ma non l’ho fatto. Perché? Avevo paura che fosse arrabbiato con me? Probabile – come potevo biasimarlo?
Temevo che le cose non sarebbero più tornate come erano prima? Anche. Con lui potevo parlare di tutto, ma proprio di tutto, e se questo rapporto così aperto fosse svanito ne avrei sofferto moltissimo.
Ma più che altro, sapevo che ormai era troppo tardi per sperare che tra noi potesse esserci qualcosa di più. L’occasione – ok, diciamo occasioni – l’avevo sprecata, come era mio solito, e non si poteva più tornare indietro. Forse potevo ancora fare qualcosa per rimediare, ma non ne avevo il coraggio, né le forze.
E qui finalmente torniamo da dove siamo partiti. A questo punto, dato che non mi decidevo a scrivergli, ho deciso di scoprire come se la passava per via ‘indiretta’, per così dire. La fonte sarebbe sempre stato lui, solo che io non avrei mai dovuto chiedere alcuna informazione.
Ed ecco entrare in gioco uno strumento utilissimo per cui non ringrazierò mai abbastanza il creatore: il blog. Ricordo che una volta mi aveva indicato un sito dove scriveva e pubblicava le sue storie. Se devo essere sincera non sono mai stata una fan dei blog. Ne avevo uno anch’io ma raramente scrivevo qualcosa, mentre quello degli altri non mi interessavano perché…oh, che me frega se uno parte per le vacanze? Chi ha mai chiesto di scrivere su quanto faccia schifo la scuola? Ma c’era qualcosa nei suoi post che mi divertiva, il cinismo con cui scriveva su certi avvenimenti della sua vita, la schiettezza di come affrontava certi argomenti. Qualunque cosa scrivesse stuzzicava il mio interesse (d’oh fa rima).
Ora, il problema stava nello sperare che non avesse eliminato il blog, e se c’era ancora come caspita facevo a ritrovarlo? Nel computer vecchio avevo furbescamente cancellato i preferiti e la cronologia non salvava i siti più vecchi di 30 giorni – e ormai ne erano passati molti di più.
Ce l’avevo ancora in testa la pagina: era azzurra e blu, ma questo non mi era molto d’aiuto. Allora l’unica cosa che mi rimaneva era provare a digitare il suo nickname nella barra di ricerca e pregare di riuscire a trovare qualcosa. E poi eccole lì le parole che mi sfuggivano: pensieri stolti. Cavolo, le aveva dette pure lui quando mi aveva passato il sito mesi – o addirittura anni – fa.
Clicco sul suo blog e sento i battiti del cuore che aumentano. Ancora non realizzavo che quello che stavo per fare poteva essere catalogato come ‘stalking’. Alla fine era qualcosa di pubblico, chiunque poteva leggere ciò che scriveva senza che lui sapesse niente! … Ma siccome io non ero ‘chiunque’ direi che ‘stalking’ era la parola giusta. Se lui ne fosse venuto a conoscenza… mah, sinceramente non avevo idea della sua reazione. Non ci pensavo perché tanto non avrebbe mai saputo delle mie visite clandestine.
Il primo post che trovai per poco non mi fermò il cuore che aveva iniziato a palpitare pochi istanti prima. Cercai di riprendermi subito perché non avevo ragioni per reagire in quel modo. Volli prendermi a calci per sentirmi come se avessi bevuto del veleno. Scorsi velocemente la storia che aveva scritto, forse perché non volevo altro che vederne la conclusione. Man mano che andavo avanti sentivo il respiro e il battito del cuore tornare regolari, per poi accorgermi che giunta al termine del post avevo un ghigno sulle labbra. Mi chiesi se ciò che avevo appena letto era un fatto realmente accaduto, ma gongolavo all’idea di come abbia annientato l’ego di quella ragazza – anzi, donna. Non avevo idea di chi fosse, non mi interessava ma sapevo una cosa: non mi piaceva. Affatto. Se l’avessi avuta davanti l’avrei fatta a pezzi. Ma ci aveva già pensato lui, in senso metaforico chiaramente, e per questo provavo un senso di ammirazione nei suoi confronti. Un po’ arrogante forse – quando ammicca a un’amica di lei – ma per me è stato anche fin troppo buono con quella stronzetta.
Improvvisamente riconobbi quel sapore amaro che mi sopraffece all’inizio. Non sono state molte le occasioni in cui l’ho provato, ma era inconfondibile. Quel veleno era pura e semplice gelosia. Terribile e corrosiva. Spregevole e insidiosa. La sentivo bruciare in gola all’inizio, poi nel resto del corpo. Non capivo. Perché ero gelosa? Per quel che ne sapevo poteva essere tutta una finzione. Magari lei neanche esisteva. Forse non era innamorato.
Devo smetterla di pensare in questo modo.

- Non mia -

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