Citazione...

E così accade che legga mille e mille libri,
sulla stupida arte di essere felici...

lunedì 29 novembre 2010

Tra miliardi di canzoni..

Doveva passare per forza QUESTA alla radio?

Uno ci prova a farsela passare, ma perché OGNI cosa mi ricorda LEI?


Io sono un albero nudo nudo senza te
Senza foglie e radici ormai
Abbandonata così
Per rinascere mi servi qui
Non c'è una cosa che non ricordi noi
In questa casa perduta ormai
Mentre la neve va giù
è quasi Natale e tu non ci sei più
E mi manchi amore mio
tu mi manchi come quando cerco Dio
e in assenza di te
io ti vorrei per dirti che
tu mi manchi amore mio
il dolore è forte come un lungo addio
e l'assenza di te
è un vuoto dentro me
perchè di noi
è rimasta l'anima
ogni piega, ogni pagina
se chiudo gli occhi sei qui
che mi abbracci di nuovo così
e vedo noi stretti dentro noi
legati per non slegarsi mai
in ogni lacrima tu sarai per non dimenticarti mai
E mi manchi amore mio
così tanto che ogni giorno muoio anchi'io
ho bisogno di te
di averti qui per dirti che
Tu mi manchi amore mio
Il dolore è freddo come un lungo addio
e in assenza di te
il vuoto è dentro me
Tu mi manchi amore mio
e mi manchi come quando cerdo Dio
ho bisogno di te
il vuoto è dentro me
Grido il bisogno di te
perché non c'è più vita in me
Vivo in assenza in assenza di te


Perfetta per il momento...
Terribile

Mi manchi, mi manchi, mi manchi, mi manchi, mi manchi...

sabato 27 novembre 2010

Omicidio Cinese

Incubi...
Incubi ancora...

Sempre incubi......

Ma stavolta, incubi belli.


"No, non saremmo interessati a quel tipo di acquisto. I servizi che offriamo sono decisamente diversi da quello."
"Questo mi spiace, proprio non c'è modo per questo scambio?"
"No, almeno per il momento no, però le vorrei chiedere di restare in contatto, perché eventualmente in futuro potrebbe interessarci!"
I toni sono decisamente pacati, cordiali, e ben promettono per il futuro. I volti sono entrambi coperti da un sorriso, almeno quelli delle due donne che parlano.
Il ragazzo è visibilmente disinteressato, sente i discorsi che si stanno facendo in quel piccolo retronegozio, ma è più interessato a cosa accade nella saletta adiacente, dove si trovano le sue due sorelle, entrambe più piccole di lui.
Stanno chiacchierando, e litigando leggermente come fanno quasi ogni istante. Niente di preoccupante, infondo la più piccola ha a malapena 8 anni, e la più grande 20. Certo non sarà lei così stupida dall'arrabbiarsi e mettersi a litigare davvero con la sorella.

Il piccolo negozio è diviso in quattro salette, tutte di piccole dimensioni, disposte a formare un quadrato più grande. L'ingresso principale da in una delle stanze, con una bella scrivania e la cassa appena sopra. Sul bancone c'è un grosso vaso di cristallo a forma di bicchiere da vino rosso. La coppa è grande ben più di due teste di uomo adulto. Dietro la scrivania, in una bacheca con fondo specchiato, un discreto repertorio di alcoolici di produzione italiana e cinese, e qualcosa di americano.
Questa piccola stanza ha quindi davanti l'ingresso, una porta larga il doppio di una normale con una veranda verde verso l'esterno, e un tappeto rosso che da quasi sulla strada.
Alle spalle, guardando dalla cassa l'ingresso, c'è la bacheca degli alcoolici e una piccola porta che da al bagno di servizio, un piccolissimo locale in cui c'è spazio giusto per il water e un lavandino.
Quasi come se fosse una vergogna un locale così piccolo, anche ai bambini che chiedono di poter entrare in quel bagno viene negato il permesso.

Sulla destra c'è il collegamento per l'altra saletta, divisa da un separé in legno con deliziosi disegni fatti a mano che ritraggono un dragone verde e rosso.
Tutto il negozio è arredato con uno stile fortemente cinese, e il dragone richiama antiche leggende di forza e coraggio.
In questa nuova sala, tenendo alle spalle la camera della cassa, vediamo di fronte un divano molto basso fatto interamente in vimini, la forma è semplice. A tre piazze, con i braccioli laterali, un cuscino unico diviso in tre dalle cuciture per la seduta, e tre cuscini per appoggiare la schiena. Al lato destro del divano, una poltrona con la stessa fantasia, e davanti a questi due un tavolino molto basso, sempre in vimini chiaro.
Sopra il divano aleggia un grosso drappo che rappresenta una battaglia antica, con centinaia di uomini armati grossi quanto un pollice pronti ad affrontarsi con lance, spade e scudi. Colori dominanti sono il verde e il marrone, rispettivamente di montagne e terreno. Tutto il drappo è rinchiuso da una finissima cornice, ricca di dettagli.

Sulla sinistra di questa sala, l'ingresso per un'altra stanza. Sulla destra, un'altra porta, che da su un piccolo spiazzo di fronte al negozio, con qualche tavolino e qualche sedia, racchiuso da una bassa recinzione in legno. Qui è spesso tenuto un cane, un pastore tedesco femmina, molto mansueto, che abbaiava appena qualcuno si avvicinava, una sorta di piccolo campanello per clienti e ospiti.

Nella terza sala, l'arredamento è molto simile a quella precedente, con un divano, un tavolo e due poltrone. Dietro al divano un altro drappo, e di fronte all'ingresso una grande portafinestra con i doppi vetri che da su un giardino posteriore.
Sulla sinistra, avendo ancora una volta alle spalle la porta per accedere a questa camera, abbiamo l'ultima stanza.
Decisamente più grande delle tre precedenti, ha anche questa forma rettangolare, se non fosse per una piccola rientranza ad un angolo, che dovrebbe essere dove si trova il bagno di servizio.

Questa camera assomiglia decisamente di più ad un ufficio, al centro c'è un grosso tavolo in legno scuro, e attorno 6 sedie eleganti e raffinate.
L'ufficio, nonostante sia adiacente alla cassa, è separato da questo dalla bacheca, sul cui retro è stato appeso un altro, enorme, drappo. Questo rappresenta la grande Muraglia cinese.

Ed è proprio nell'uffico che si sta svolgendo questa piccola riunione.

Le due donne si alzano, ancora sorridenti, nonostante il contratto non sia andato a buon fine, ma soddisfatte dalla nuova conoscenza, che potrebbe portare buoni progetti per il futuro.
Il ragazzo, che fino ad ora aveva mascherato abbastanza bene la sua completa distrazione, si fa scoprire commettendo una grave ingenuità. Quando le due donne si alzano, non se ne avvede e non fa lo stesso.
Appena si accorge di questo, si alza, saluta la donna cinese che se ne sta andando, e torna nell'altra sala dove ci sono le due sorelle.

Le due donne si dirigono verso l'uscita, dove si salutano cordialmente. Separata dalla venditrice cinese, l'altra donna raggiunge i tre figli nella saletta. Anche il cane saluta, con un verso solo, per poi tornare a riposare.

Riunita tutta la famiglia nella terza stanza, iniziano a chiacchierare, parlando di una puntata di un telefilm visto la sera precedente.
Passa una ventina di minuti buona, prima che la conversazione venga fermata da un rumore di vetro che si scontra contro del legno.

"Avete sentito? Magari è un ladro!" Subito in allarme la sorella piccola, probabilmente non ancora conscia di cosa rappresenti in verità un ladro e cosa vorrebbe dire.
"No, avrebbe abbaiato Paige, no?" La sorella più grande, decisamente più razionale. Paige, il cane, in effetti, non aveva emesso il minimo rumore.

Il ragazzo si affaccia, per vedere cosa stesse facendo il cane, e ai suoi occhi appare una delle scene più macabre e assurde mai viste in vita sua.
Il loro cane, il pastore tedesco, era stato "mangiato" da un altro cane. Davanti ai suoi occhi c'era un dobermann, in posizione eretta, grande appena più del proprio cane, dalla cui bocca usciva ancora il muso del suo cane, con la bocca chiusa. Il cane era di profilo rispetto alla porta, e sembrava immobile.

La vista di quella scena gli chiuse lo stomaco, ma la reazione fu decisamente pronta. Si alzò e scattò verso il piccolo separé che divideva la stanza della cassa dall'altra, e una volta lì vide un ragazzo, cinese, che stava armeggiando con la coppa di cristallo. Il rumore sentito prima era stato probabilmente prodotto dal maldestro appoggiare la coppa sul bancone.
Alla vista del ragazzo, il cinese di scatto si alza, e mostra la pistola che ha in mano. Spara due colpi a caso, verso l'alto, per terrorizzare chi è nel locale, e sembra sortire l'effetto desiderato. Il ragazzo si nasconde dietro il separé, come se quello potesse bastargli in caso di uno sparo da parte della pistola.
Il cinese scappa, si dirige verso la porta continuando a sparare alla cieca verso il ragazzo. Nel frattempo, anche la donna si è alzata dirigendosi verso la prima stanza, e la sorella maggiore ha preso la piccola portandola verso l'ufficio.
Con il rapinatore uscito dal negozio e diretto verso l'altra parte della strada, una rapida occhiata verso il bancone. La cassa è ancora chiusa, non dovrebbe essere riuscito a prenderne nulla.

La calma è stata sconvolta, decisamente, ma ora c'è da chiamare la polizia.
Nell'arrivare al bancone, il ragazzo si accorge che il cinese di prima è ancora dall'altra parte della strada, e sta ritornando.

"È ancora quì!", l'avviso per tutti è necessario, quasi obbligatorio. Nel frattempo è arrivata la sorella più grande, a vedere cos'è successo, cosa sta accadendo.
"Ma deve ammazzarne per forza qualcuno?" la frase è totalmente insensata ma il momento appena trascorso la spiega in buona parte.
"A vedere tutti i tatuaggi che ha, penso proprio di sì!" probabilmente, il solito commento classista e discriminatorio della madre, da sempre contraria a qualsiasi forma di tatuaggio. Roba da criminali.
Il cinese riattraversa la strada, e rientra nel negozio, sparando un colpo diretto verso il ragazzo. Fortunatamente, la scarsa mira, aiutata anche dalla corsa, gli fa sbagliare il colpo. Il ragazzo torna nella stanza del divanetto, spaventato dall'arrivo della sorella più piccola.

Bloccando la sorella più piccola e alzandola di peso, la riporta nell'ufficio, mettendola dietro l'angolo di muro formato dalla presenza del bagno.
"Resta qua." L'ordine è secco, diretto, perentorio.
La sorellina ha le lacrime, è terrorizzata. Probabilmente più dai rumori forti degli spari che dalla situazione, sperando che a questa età ancora non sia ben chiara l'idea della morte e di cosa sia davvero una pistola.

Tornando dillà, nella sala del divanetto, c'è la madre che sta nascosta dietro il separé, pronta per andare a colpire il cinese, qualora si giri.
Ma il cinese non si gira, sta entrando piano per vedere chi c'è dentro. La donna allora si lancia contro di lui, ma nell'affacciarsi riceve due colpi di pistola, uno alla pancia e uno al petto.
La donna sente il forte colpo, ma non si accascia al suolo. Inizia a perdere sangue, ma resta in piedi. Il ragazzo si lancia quindi contro il cinese, venendo a sua volta colpito da tre proiettili, tutti e tre sul petto. Questi lo colpiscono, il dolore è altissimo. Ma non mortale.
Il ragazzo continua a correre, va contro il cinese, che scappa, entra nel recinto laterale e da lì rientra nel negozio.
Continuando ad inseguirlo, anche se rallentato dal dolore al petto, ritornando dentro il negozio. Il cinese, quasi a completare il giro, è tornato davanti al bancone della cassa.

Lì, la sorella grande è riuscito a farlo cadere, probabilmente con uno sgambetto ben piazzato.
Ora, il cinese è a terra, con la pistola a qualche passo dalla sua mano sinistra, e il ragazzo e la sorella maggiore sono vicini a lui.

Arrabbiati, con vistose macchie di sangue per tutto il locale.

Si abbassano rabbiosi verso di lui.

E una raffica di pugni, sempre più forti, sempre più veloci, sempre più cattivi, si rivolta sul suo viso.
A rompergli il naso, prima. La mascella poi, e le costole, infine.



L'esultanza per il "lieto fine" di questo pomeriggio particolare...


...sveglia il ragazzo.

venerdì 26 novembre 2010

Stupenda

Senza motivo, apparentemente...
E' solo stupenda l'immagine...

Concedetemi ogni tanto di non scrivere.
















Ok, scusate, forse erano più di una... Ma...

Lei...

martedì 23 novembre 2010

sabato 20 novembre 2010

Sfogati, Andrea...

Sfogati Andrea...

Arrabbiati
Piangi
Urla
Picchiami
Corri
Strappati i capelli
Canta a squarciagola

Ma sfogati, Andrea.

Ti prego.

Io ci sono qua, sempre. Qualsiasi cosa.

lunedì 15 novembre 2010

Confusion

Need to rework on lot of things.
I just really need to take every single parts of my life, rework them, and reassembly everything.
I dediced too many times not to fight too many battles, I lost too many times my own battles, I decided too many times not to take my own decisions.

Someone else has decided for me. Someone else made me lose. Someone else fought my battles.

And too many times, they weren't so decided to fight properly, they weren't there when i had my kneels on ground crying, and those weren't the right decisions for me.

That wasn't me. That wasn't me fighting my own battles. That wasn't me taking my own decision. That wasn't me chosing my destiny. That wasn't me following my own ideas for my future.
That was definitely not me saving myself.

That was not me.
That was a motherfucking puppet of someonelse.

This is me, now. I'll take back control.

Control with the Start. Control with her. Control from university pressure. Control from ergonomic keyboards. Control from cheating friends and ghost of ex best friends.

This is me, taking control of my whole life. Once again.

Più o meno come fa un piccione

giovedì 4 novembre 2010

Pazzamente Pazza di un Matto

Io la pubblico. Il testo mi piace, lo stile pure, e merita. E alla fine, mi piace. Tu non l'avresti mai pubblicata.
Io sì.
E complimenti, mi piace. :)



Mi sento una stalker.
Non potete immaginarvi la mia mortificazione e imbarazzo per quello che sto facendo. Prima che vi immaginiate una pazzoide con cappotto, parrucca e occhiali da sole nascosta dietro a un giornale tenuto al contrario, voglio innanzitutto precisare che non mi riferivo a quel genere di stalker, perché, anche se un po’ compromessa, un minimo di dignità mi è rimasto.
Allora perché mi definisco una stalker? Per il semplice motivo che dopo aver passato un’estate intera e pensare a lui, ed illudendomi di averlo dimenticato in seguito a una brevissima cotta, mi sono ritrovata a un punto dove la sua mancanza era così forte che avevo pianificato più volte di andare da lui e fargli una visita a sorpresa. Sentivo il forte desiderio di incontrarlo, di abbracciarlo, di dirgli che mi mancava da impazzire, che lo rivolevo nella mia vita, che lo…
…ma chi volevo prendere in giro? Io, timida com’ero, sarei davvero stata in grado di correre da un ragazzo che con molte probabilità mi avrebbe mandata a quel paese se mi avesse vista? Non era da me fare una simile pazzia, non sono mai stata quel genere di ragazza. Se qualcosa è irraggiungibile non mi sforzo di lottare per averla. Mi arrendo. Soffrirò per la mancata opportunità, ma mi ripeterò che la vita continua. Doveva continuare, anche senza di lui.
E il solo pensiero mi uccideva.
Quand’è stata l’ultima volta che mi ero sentita così male per un ragazzo? Spesso me lo chiedevo, a volte con un po’ di ironia, ma il senso di amarezza restava.
Passerà, passerà…
E intanto mi chiedevo, per semplice diletto masochistico, cosa faceva. Sapevo che in estate avrebbe lavorato come animatore, ed ero conscia di che pasta era fatta la maggior parte degli animatori. Ne ho conosciuti anch’io, e quindi sapevo come passavano il loro tempo libero. Ma parte di me si rifiutava di immaginarlo come quel tipo di ragazzo che cambiava le ragazze come le mutande. Eppure sapevo che sperare in una cosa del genere era come aspettarsi che un leone preferisse brucare l’erba piuttosto che sbranare una gazzella. In fondo era un ragazzo, che pretendevo? Tuttavia non riuscivo a dirmi “È un ragazzo come tanti altri”. Lo era, ma al tempo stesso non lo era. Non potevo accettarlo.
Siccome immaginarlo con più ragazze mi recava piacere quanto un pugno nello stomaco, ho ‘preferito’ pensarlo felicemente innamorato di una ragazza per cui avrebbe fatto i salti mortali per renderla felice come non lo fosse mai stata. Così lo vedevo, e questa immagine mi piaceva più dell’altra… se solo non fosse per il fatto che stava con un’altra. Non che io non volessi la sua felicità, solo che… ecco, speravo di poter essere io colei che lo avrebbe fatto sorridere, che potesse sempre essergli vicino, e…perché no, lo facesse tribolare un po’ con tutte quelle insicurezze tipiche di noi ragazze…
Ma stava con una ragazza? Lo rendeva felice? Lei si rendeva conto di quanto fosse fortunata ad avere un ragazzo come lui?
…Si ricordava ancora di me, di quella scema che gli ha detto di no non una, ma due volte?
Potevo porgli tutte queste domande, ma non l’ho fatto. Perché? Avevo paura che fosse arrabbiato con me? Probabile – come potevo biasimarlo?
Temevo che le cose non sarebbero più tornate come erano prima? Anche. Con lui potevo parlare di tutto, ma proprio di tutto, e se questo rapporto così aperto fosse svanito ne avrei sofferto moltissimo.
Ma più che altro, sapevo che ormai era troppo tardi per sperare che tra noi potesse esserci qualcosa di più. L’occasione – ok, diciamo occasioni – l’avevo sprecata, come era mio solito, e non si poteva più tornare indietro. Forse potevo ancora fare qualcosa per rimediare, ma non ne avevo il coraggio, né le forze.
E qui finalmente torniamo da dove siamo partiti. A questo punto, dato che non mi decidevo a scrivergli, ho deciso di scoprire come se la passava per via ‘indiretta’, per così dire. La fonte sarebbe sempre stato lui, solo che io non avrei mai dovuto chiedere alcuna informazione.
Ed ecco entrare in gioco uno strumento utilissimo per cui non ringrazierò mai abbastanza il creatore: il blog. Ricordo che una volta mi aveva indicato un sito dove scriveva e pubblicava le sue storie. Se devo essere sincera non sono mai stata una fan dei blog. Ne avevo uno anch’io ma raramente scrivevo qualcosa, mentre quello degli altri non mi interessavano perché…oh, che me frega se uno parte per le vacanze? Chi ha mai chiesto di scrivere su quanto faccia schifo la scuola? Ma c’era qualcosa nei suoi post che mi divertiva, il cinismo con cui scriveva su certi avvenimenti della sua vita, la schiettezza di come affrontava certi argomenti. Qualunque cosa scrivesse stuzzicava il mio interesse (d’oh fa rima).
Ora, il problema stava nello sperare che non avesse eliminato il blog, e se c’era ancora come caspita facevo a ritrovarlo? Nel computer vecchio avevo furbescamente cancellato i preferiti e la cronologia non salvava i siti più vecchi di 30 giorni – e ormai ne erano passati molti di più.
Ce l’avevo ancora in testa la pagina: era azzurra e blu, ma questo non mi era molto d’aiuto. Allora l’unica cosa che mi rimaneva era provare a digitare il suo nickname nella barra di ricerca e pregare di riuscire a trovare qualcosa. E poi eccole lì le parole che mi sfuggivano: pensieri stolti. Cavolo, le aveva dette pure lui quando mi aveva passato il sito mesi – o addirittura anni – fa.
Clicco sul suo blog e sento i battiti del cuore che aumentano. Ancora non realizzavo che quello che stavo per fare poteva essere catalogato come ‘stalking’. Alla fine era qualcosa di pubblico, chiunque poteva leggere ciò che scriveva senza che lui sapesse niente! … Ma siccome io non ero ‘chiunque’ direi che ‘stalking’ era la parola giusta. Se lui ne fosse venuto a conoscenza… mah, sinceramente non avevo idea della sua reazione. Non ci pensavo perché tanto non avrebbe mai saputo delle mie visite clandestine.
Il primo post che trovai per poco non mi fermò il cuore che aveva iniziato a palpitare pochi istanti prima. Cercai di riprendermi subito perché non avevo ragioni per reagire in quel modo. Volli prendermi a calci per sentirmi come se avessi bevuto del veleno. Scorsi velocemente la storia che aveva scritto, forse perché non volevo altro che vederne la conclusione. Man mano che andavo avanti sentivo il respiro e il battito del cuore tornare regolari, per poi accorgermi che giunta al termine del post avevo un ghigno sulle labbra. Mi chiesi se ciò che avevo appena letto era un fatto realmente accaduto, ma gongolavo all’idea di come abbia annientato l’ego di quella ragazza – anzi, donna. Non avevo idea di chi fosse, non mi interessava ma sapevo una cosa: non mi piaceva. Affatto. Se l’avessi avuta davanti l’avrei fatta a pezzi. Ma ci aveva già pensato lui, in senso metaforico chiaramente, e per questo provavo un senso di ammirazione nei suoi confronti. Un po’ arrogante forse – quando ammicca a un’amica di lei – ma per me è stato anche fin troppo buono con quella stronzetta.
Improvvisamente riconobbi quel sapore amaro che mi sopraffece all’inizio. Non sono state molte le occasioni in cui l’ho provato, ma era inconfondibile. Quel veleno era pura e semplice gelosia. Terribile e corrosiva. Spregevole e insidiosa. La sentivo bruciare in gola all’inizio, poi nel resto del corpo. Non capivo. Perché ero gelosa? Per quel che ne sapevo poteva essere tutta una finzione. Magari lei neanche esisteva. Forse non era innamorato.
Devo smetterla di pensare in questo modo.

- Non mia -

martedì 2 novembre 2010

Vittoria.

Fatto a pugni col mondo, ma un'altra volta in piedi.

E adesso, non voglio più problemi.

Non ne voglio più.

Evitatemi.

Ma sono ancora in piedi.

Ora si ricomincia. Si cambia.


Felice.